Riflessioni…

Domenica 1 novembre 2020

Le mie riflessioni sulla situazione

 

 

Poggio, Isola d’Elba_3 agosto 2016

 

La forza dell’amore

Quando si va Oltre, si va Oltre e basta. Ciò che viene prima va a perdersi nella Dimenticanza, tra le cose infelici.

 

Milano, 11 settembre 2016

Questo Sogno… questo Sogno d’Amore…  

Incantevole Lei… Una Terra Sognata… Una Musica Dolce e Trascendentale.

          Incantevole è il Cuore che trascende ogni altra cosa.

Questa Bellezza, Fuori e Dentro… Una Positività che ha il Fine di essere Tale, che si Dà. E per questo Riceve.

 

Milano, 21 settembre 2016

Sto maturando dentro di me una rabbia. una rabbia contro la società, contro il sistema, che forse mi porterà in futuro a uscire completamente dal sistema.

 

Milano, 4 ottobre 2016

La Pratica quotidiana può essere la Svolta. Il Continuo praticare cose che mi fanno bene Dentro e Anche le cose che ritengo di Crescita: Cucinare, Pulire, Curare il mio Ambiente, Curare le mie Cose…

E il Sentire il mio Intuito, come oggi con la Direzione da prendere lungo la Martesana. Il rischiare prendendo una Strada che so che è quella Giusta, ma di cui magari non sono Sicuro…

 

Milano, 6 novembre 2016

Non voglio interessarmi del risultato .

Basta! Basta davvero.

Ora basta guardare le cose attraverso i numeri. Quasi mai più voglio guardare i risultati. Fanculo coppe e targhe. Mi fate schifo!

 

Milano, 22 gennaio 2017

Viaggio incontrastato verso il cielo sublime, la musica rindonda fuori e dentro di me. E’ un’estasi così rinomata dall’umano intento.

Null’altro voglio se non ricordarmi dei ricordi perduti.

Il cielo con la sua immane infinitezza esplode di mille luci lontane quanto eterne vite.

Ed io che mi soffermavo sull’umano intento m’accorsi che l’umano intento altro non era che un intento umano.

E così mi praticai delle cose semplici, delle cose a portata di mano, neanche di piede. E così via rimasi solo perché a portata di mano altro non c’è che la mia essenza.

Quanto sono lontane le umane mani, le altri carni… Fosse diverso da così, mi sarei evoluto diversamente. Sarei in connessione con il tutto fuori di me e non con il tutto dentro di me.

Ma forse è l’equilibrio tra il Dentro e il fuori ciò che conta, e forse non conta neanche questo.

Già portai il mio cuore dinanzi al mondo, ma fintanto che non lo porterò dinanzi a me niente di immanente potrà mai sviscerare il nodo che porto dentro da quando ricordi.

 

Milano, 10 gennaio 2017

Molto bene. C’è energia.

 

Milano, 24 gennaio 2017

Adoro la mia vita, nel senso di stile di vita. E’ meravigliosa. Faccio fondamentalmente quel cazzo che voglio, faccio sport, mi esprimo attraverso di esso. Ho degli allievi che credono in me. Sono bello, sono in salute anche se in questo periodo non proprio in vigore ma ci tornerò presto.
Mi sostengo economicamente. Ho una famiglia che mi adora, ho delle connessioni di amicizia che potrei sfruttare di più.
Ho tutto, fondamentalmente. E voglio, pretendo di più.
INUSITATO.
Sono dentro a questo corpo, un corpo limitato, un corpo che mi sta stretto, perché voglio di più. Voglio una connessone profonda con il mondo paranormale.
Voglio entrare in contatto con l’Aldilà, voglio avere delle prove di un mondo che va oltre.
Voglio connettermi con le energie dell’Universo. Voglio vedere altre popolazioni aliene, voglio un altro pianeta.
Questo mondo mi sta stretto.
Voglio di più. Voglio stare lassù per guardare quaggiù con quel distacco che tutto, e ripeto tutto, va a svalutare tranne che la nostra Essenza.
Milano, 30 gennaio 2017
FEDERER-NADAL (e non solo) _ Alcune mie riflessioni
Provo ad esprimere qualche riflessione, qualche emozione tra le milioni che ho avuto dentro ieri…. Non ci riuscirò, per il limite riposto nel Verbo (che difficilmente sa esprimere riflessioni, sensazioni ed emozioni in forma completa, esauriente, perfetta) e nel tempo che, nonostante infinito, mi chiama per altri progetti 🙂

Ho visto un film. Un film che tratta della bellezza, della bellezza di una rivalità che rivalità non è. Nessuna rivalità E’ se non la si vede come tale. Tutto può essere uno scambio, un confronto. Nel tennis come nella vita…Qui c’è tutto. In quegli scambi di immane bellezza, di sguardi, di rimpianti, di gioie, di dolori, c’è tutto.Non c’è il migliore. Ne tanto meno c’è il migliore di sempre. C’è solo il superamento dei limiti.
L’incontro di ieri non è dimostrazione che Roger Federer è il più grande di sempre, cosa che sono certo diversi media e social vanno esprimendo oggi in forma molto diffusa. Perché il più grande di sempre, non mi stancherò mai di dirlo, non esiste. Le epoche dei grandi campioni del passato sono, appunto, diverse, gli strumenti sono diversi, le vite sono diverse, le situazioni, le condizioni, gli avversari… Tutto è diverso. 

Non c’è il passato, in tal senso. Non c’è il futuro, in tal senso. C’è solo l’adesso. C’è solo, in ogni istante, la possibilità di superare i propri limiti. E se in quell’istante vinco o perdo il punto non significa che sono stato più forte o meno forte del mio avversario. Vincere o perdere un punto dipende da mille fattori. Può succedere che io superi i miei limiti più di quanto lo faccia il mio avversario…. e nonostante questo perdo il punto. Così come può succedere il contrario, che vinca il punto nonostante il mio avversario abbia superato i suoi limiti più di quanto lo abbia fatto io… Il confronto è solo con se stessi. Non c’è competizione. C’è solo la possibilità di crescita. 

“Sempre” non esiste laddove si guarda al qui ed ora. 
Un altro motivo per cui l’incontro di ieri non è dimostrazione che Federer è il più grande di sempre è che non c’è partita che possa dimostrare il “sempre”. Ogni partita può dimostrare la grandezza della partita stessa. Ogni attimo può essere grande.
Roger Federer è grandioso, Rafael Nadal è grandioso. Tutti possiamo essere grandiosi.
Ogni atleta e uomo è grandioso laddove esprima il suo potenziale.
Oggi ha vinto Federer. Ma forse ha vinto anche Nadal. Lo sa solo lui se ha dato il massimo o avrebbe potuto fare meglio. 
Mille altre volte ha vinto Nadal. Così come mille altre volte ha vinto Federer.
Non è una questione di numeri. Non lo sarà mai, altrimenti si va contro l’essenza di uno sport, di una vita. Laddove probabilmente sono le sensazioni e le emozioni a guidare.

Limitiamoci ad osservare… a contemplare la bellezza dell’umile Rafael che ci prova, ci prova con tutto se stesso. Sempre e comunque. Ci riesce, non ci riesce.
Osserviamo, contempliamo la bellezza del sogno di Roger che si è avverato. Vederlo saltare come un bimbo, sentire la sua tensione nell’ultimo turno al servizio… mi ha toccato, mi ha fatto sorridere proprio perché ho guardato con distacco. Proprio perché ho abbandonato il mio recondito e insano desiderio di non vederlo vincere un altro Slam. Ho gioito con lui perché finalmente sono riuscito a non tifare contro Roger Federer. Fu il mio idolo per anni, ma poi l’eccessivo tifare del mondo, dei media, dei social per Federer mi hanno allontanato dal sentirlo parte di me. Il continuo sentire frasi superficiali quali “E’ il più forte di sempre”, “Roger è il tennis” mi hanno allontanato dal tifare per lui. E nonostante io riconosca l’unicità di Roger Federer, la sublime classe, la sua forza incommensurabile, nonostante riconosca i suoi valori positivi di umiltà, semplicità, nonostante una parte di me volesse rivederlo vincere ancora, un’altra parte di me desiderava perdesse… Un’altra parte di me desiderava perdesse proprio perché non mi riconoscevo e non mi riconosco in molti suoi tifosi che altro non sanno valorizzare che il tennis di Federer e le sue gesta senza sapere ammirare la bellezza degli altri tennis e della gesta di milioni di altri giocatori meravigliosi anche quanto Federer.
In quella mia emozione di gioia provata ieri per Federer c’è il superamento di un mio limite. E mi auguro che questo possa accadere in tutto il mondo.
Impariamo dunque ad osservare, gioire di ogni gesto…. Il tifo porta innanzitutto tensione, soltanto a volte gioia… E la tensione porta a focalizzarsi soltanto su chi tifiamo. Tifare è limitato, a meno che non si riesca a tifare con distacco. Ma è proprio l’essenza del tifare che considero un allontanamento dalla verità.
Il tifo fa perdere attimi, lucidità. Ci fa guardare la vita così come lo sport, così come le guerre, così come gli amori, così come tutto, soltanto da una prospettiva. 
La vittoria di ieri di Federer è il suo sogno, non il nostro sogno. Riguarda lui questa vittoria. Non riguarda quella del tifoso o dell’appassionato o del distaccato osservatore.
Guardiamo le cose con sano distacco, non facciamoci prendere dal sentirci parte di Roger, così come di Rafa.
Siamo noi stessi… e osserviamo con gioia, distacco e osservazione empatica la bellezza di quanto è successo ieri così come sempre, così come nel passato, così come nel futuro.
Lunedì 27 marzo 2017
Non me ne frega un cazzo.
Viaggio incontrastato se non dal mio pensiero dentro una vita leggera e senza peso, miro al momento, miro all’approvigionamento di un riposo dal tormento.
Null’altro ha importanza se non l’immane folgore del piacere inusitato.
Non bado alla forma, bensì alla sostanza. Nonostante la scrittura sappia di forma. Non ne bado. Lascio scorrere fluido un canto di purezza 1991, un canto di un album di forse purezza superiore.
Viaggio forse sempiterno verso l’incanto, verso la sospensione del pensiero, dei sensi e di tutto ciò che può sospendersi e librarsi nel cielo così come altrove.
Non freno un istinto che va deciso, spinto da melodie viscerali che altro non fanno che sfiorarmi la nostalgia di un tempo che non tornerà mai più, se non risentendolo dentro di me per sempre, per sempre, per sempre, sempre, sempre, sempre…
Senza luogo né tempo
Sono all’interno di un bel lavoro dove principio e fine non esistono.
Martedì 2 maggio 2017
L’occupazione in altre occupazioni. E’ il tema di questa fase. Ma la pratica deve procedere. La pratica ha rallentato, si è anche fermata. La pratica del quotidiano, del fare sempre le cose che mi portino al mio centro, al mio equilibrio, al mio ordine interno.
Devo (nel senso di posso… Nel senso che se non lo faccio, mi ritrovo sempre lì) tornare alla pratica delle cose quotidiane. Devo provarci con tutto me stesso nonostante le nuove occupazioni di mente e corpo.
Forza e coraggio.
Venerdì 7 luglio 2017
Resisti, resisti, stai dentro a questa sensazione. Non dare peso alle parole che arrivano. Non darci peso. Non serve. Continua a stare. Piuttosto, piangi… E continua a sentire.
Giovedì 10 agosto 2017
Fare di tutto, sapere fare tutto.
E’ l’istinto che mi porta a questo.
Non riesco a lavorare soltanto su di una cosa. E’ come negare tutte le altre. Preferisco valere 7 in tutto, che valere 10 in una cosa e 6 in tutte le altre.
La corsa, sì… Il tennis, anche. La scrittura, anche. Il suonare, anche. L’evoluzione delle mie viscere emozionali, pure. L’evoluzione mentale, perché no?
Tutto, proprio tutto. Ci vuole tutta una vita di pratica, disse un tale che si faceva chiamare Socrate in un film meraviglioso.
Sapere fare tutto.
Ogni Primavera, ogni Estate, si intensificano queste domande.., tali quesiti. Cosa fare per evolvermi, cosa devo fare per giungere alla strada, per trovare me stesso… Cosa devo fare?
Tre anni fa l’addentrarmi per la prima volta in Natura per un periodo di tempo importante. Da solo in quella casetta di legno in mezzo al bosco… Là fuori soltanto il vento, che a volte pareva mare, a volte vento e mi chiedevo: “E’ il mare ciò che sento? Oppure è il vento?”. Era sempre il vento. Il mare era troppo distante…
Quell’anno le prime pratiche sulla paura, sullo sconfiggere la paura in Natura.
Le prime corse in mezzo alle montagne, le mille domande in mezzo a sconfinati spazi…
Due anni fa il ripetersi di una situazione simile. Da solo, ma in un bel paesino…
Grandi momenti di solitudine, così come grandi momenti di compagnia.
E l’intensificarsi delle pratiche in montagna, nel bosco. I primi acciacchi dovuti a un nuovo ambiente. La prima esperienza musicale per strada. Il nuoto, il mare. Gli scogli. Il superare la paura dell’andare di notte nei boschi. Il trovare un equilibrio tra tutto. La ricerca di empatia, il trovarla, il sorriso, il dolore per temere di non piacere. Il lavoro su me stesso per andare oltre.
L’anno scorso, una medesima situazione. Da solo in quel paesino dell’isola d’Elba. Il suonare per strada, il tennis, il correre, lo scalare la montagna, il nuoto, il cercare compagnia per poi esserne deluso. L’essere deluso dell’uomo in generale. Il provare schifo per tutta la società. L’ipotesi, prima o poi, di andare via, di cambiare vita verso l’estremo.
La scoperta che tra i momenti più belli vi sono quelli nel bosco, quando sfrutto il busco come una enorme palestra naturale: sollevo la legna, corro, cerco l’equilibrio su di un tronco, mi piego, mi alzo, salto, mi inoltro tra i rovi rinforzando corpo e mente…
Fare tutto. Ho da sempre, ma piu che altro da pochi anni in forma spiccata, il volere fare tutto.
Non mi interessa una cosa. Voglio sapere fare tutto. Ho paura all’idea di abbandonarmi completamente verso una cosa sola. E’ per questo, forse, che ho difficoltà a portare a termine progetti nella vita. Perché ne porto avanti mille. Che sia la strada corretta? Che debba cambiare? Che debba concentrarmi su di una cosa e tenere soltanto vive le altre? Ma è quello che ho sempre fatto, più o meno…
Vado avanti a passo lento, portandomi dentro tal punto di domanda che mi fa compagnia da quando ricordi.

Senza luogo né tempo

Sii il Gabbiano della tua Coscienza.

Cavalca le onde del Mare sempiterno.

Vola alto, vola basso.

Vola in mezzo, Districandoti tra i tutti.

Raggiungi la Piena Serenità

di un Momento lungo come un’eternità.

Tu Sei quel momento, quel Gesto, quell’Intuizione,

quella Sensazione, quell’Emozione.

Vai sopra e Oltre ogni umana coscienza.

Venerdì 15 settembre 2017
Nell’attesa… nell’attesa di una bella notizia… Sento che manca qualcosa per essere felice.
Tuttavia ho tutto per essere felice, di concreto e nell’anima.
Io sono felice, nel senso di essere la felicità.
Ho tutto dentro e, anche senza una bella notizia, so che posso giungere alla felicità.
Sono già in fase di sorriso.
Oggi farò una grande partita.
Martedì 19 settembre 2017
Sviscero dentro di me l’istinto di appellaggio.
E’ meraviglioso sentire la pulizia che vado facendomi dentro. Meraviglioso.
Da solo, senza ausilio, in contatto con la paura, osservando la paura, contemplando il flusso naturale delle cose.
Cosa c’è al di là?
Cosa c’è? Voglio che ci sia qualcosa al di là.
Altrimenti ci dovremmo soffermare qui, sul piacere e nient’altro.
E’ qui che, nonostante tutto, dobbiamo stare, dobbiamo giocare, dobbiamo esistere.
Dell’al di là non c’è certezza.
E’ il pensier che mi preme, assieme al comunicare le emozioni e la ricerca dello stato ultimo.
Martedì 17 ottobre 2017
La secchezza. La filosofia della secchezza, della direttissima, della senza fronzoli. E’ ciò che sto applicando ora. Senza sfumature, dritto alla verità delle cose che sento e che penso degli altri. A volte con fronzoli, ma lo faccio.
E’ difficile tale strada, è dura. E’ dura la strada della verità e della sincerità ultima. Fa male a chi la subisce, fa male a chi la esprime. Fa bene a chi la subisce, fa male a chi la esprime.
Sviscerare le tensioni, tenere ben in vista l’obiettivo, la strada, e districarsi tra i limiti propri e degli altri.
In cerca di persone che emanano energia positiva, positiva per me.
E’ tutto o quasi una questione di energie. Avvilupparsi e goderne, lasciarsi prendere, soffrirne fino al midollo per il fine ultimo del benessere e della serenità.
E con il terzo occhio ben aperto, l’occhio dell’assorbimento della conoscenza che arriva sempre e che ce la prendiamo se quell’occhio è ben aperto.
Domenica 22 ottobre 2017
E’ tutto così difficile. E fa male. Non devo più arrivare a una tale situazione: stare male fisicamente per avere subito l’incapacità degli altri di superare i propri limiti.
Devo riuscire a sorridere dinanzi a questo. Ad accogliere, sciogliendo lo scontro. Non tanto evitarlo. Evitarlo alimenta la tensione o comunque essa permane.
Va sciolto. Posso/devo andare incontro agli altri sorridendo e mettendoli dinanzi ai loro limiti e ai loro errori. Ma innanzitutto, devo preservare il mio benessere. Questa è la cosa più importante.
E’ un obiettivo molto difficile. Ma posso riuscirci. Devo riuscirci.
Domenica 19 novembre 2017
Va meglio. E’ come se  avessi il corpo e la mente più rilassati e in armonia con il mondo esterno.
Oggi è stata una giornata significativa. Conflitti trasformati in relativa armonia.
Intuizioni fondamentali su di me: sicurezze, più che altro.
Proseguo il mio percorso verso l’accoglienza del tutto.
Ho imparato molto oggi su ciò che in certe situazioni devo fare.
La prossima volta l’impegno sarò farle.
Fare o non fare, non c’è avere intenzione.

Senza luogo né tempo
“Io le ragazze le coltivo”
“E poi come fai a curarle tutte? Moriranno.”
“Difatti non le curo, le coltivo. Solo le migliori sbocceranno. Selezione naturale.”

Lunedì 30 aprile 2018
Telefono ad una persona. Questa non risponde.
Dopo un po’, mi scrive un messaggio.
“Ciao, mi hai chiamato?”
Ed io torno a pensare, con sempre più certezza, che ci sia una seria difficoltà a stabilire contatti diretti.

 Sabato 5 maggio 2018

E dato che nel contatto con le umane genti soprattutto trovo delusione, incomprensione, incapacità d’andar oltre, blocchi emozionali, indisponibilità ad aprirsi per insicurezze che lor stesse dichiarano di appartenere ad altri, date tal cose allora forse è meglio esprimersi qui, nella scrittura, esprimersi qui, nell’arte, esprimersi qui per poi donare agli altri in un futuro ipotizzato, in un futuro in cui magari come tante persone incomprese in vita, nel qui ed ora, poi furono comprese ed acclamate.

Per qual motivo io debbo coltivare in un terreno arido, in un terreno dove la pioggia cade soltanto quando le conviene, quando vuole cadere? Per qual motivo io chiedo con gentilezza per poi non ricevere se non soltanto di rado? Per qual motivo io m’apro per poi vedere ferma, quasi gelida, la gente fumante, la gente che fuma e che si nasconde inconsapevolmente dietro a tal fumo di sotterfugi emozionali che tutt’altro sono che compresi da se stessa?

L’accettazione è forse l’andar oltre, l’avventurarmi dentro di me per non poter andare fuori di me, perché cosi oltre fuori non si può andare senza ritrovarsi sempre in quello stallo, in quella situazione di sempre dove oltre non si può, dove la strada finisce e non perché inizia la montagna, ma perché la strada finisce.

 

Venerdì 11 maggio 2018

 

La vita è potenzialmente una merda.
La vita è potenzialmente una figata.
Queste due espressioni hanno potenzialmente lo stesso significato.

 

Martedì 15 maggio 2018

 

C’è da lavorare sull’autostima.

C’è da lavorare sull’autostima.

C’è da lavorare sull’autostima.

C’è da lavorare sull’autostima.

C’è da lavorare sull’autostima.

C’è da lavorare sull’autostima.

C’è da lavorare sull’autostima.

C’è da lavorare sull’autostima.

C’è da lavorare sull’autostima.

C’è da lavorare sull’autostima.

C’è da lavorare sull’autostima.

C’è da lavorare sull’autostima.

C’è da lavorare sull’autostima.

C’è da lavorare sull’autostima.

 

Giovedì 7 giugno 2018

 

Un invito a stare calmi e semplicemente osservare le cose per come realmente sono.
Osservare le cose con sereno distacco.
Contemplarle, sviscerarle, senza giudizio alcuno mosso dalle nostre viscere.
Andare oltre le viscere, la pancia, le emozioni.
Semplicemente osservare, accettare, non farsi ingannare da se stessi.
Non cadere in interminabili equivoci per il solo motivo di non essere stati calmi.
Semplicemente osservare.
E’ forse l’osservazione che c’è in un sereno distacco la strada da percorrere per impugnare l’amore, creare un mondo senza conflitti (relazionali o guerre), giungere alla verità ultima.

 

Martedì 26 giugno 2018

 

T’amo.
T’amo mio sempiterno amore, viscerale amore, triste amore.
Negli abissi escogiti la mia redenzione: l’avrò mai?
Amore alternativo, amore danzante, amore spavaldo, amore tenero, amore sublime, amore bello. Sei in ognuna e perseveri nel costringermi all’appiglio, ad appigliarmi ad una, all’una del momento.
Ma dove mi porterai? Dove?
Io vado ascoltando questo sublime canto di dimenticanza. Perché è qui che mi perdo, è qui che mi inoltro per cercarti. Forse una volta per tutte.
E gli stolti che sono in me vanno perseverando nella leggerezza: a loro è riservata una falsa beatitudine in un oceano di verità nera. E’ questo che voglio?
Là sono. In stallo. Nello spazio sublime, vivo ma fermo. Tra l’avvicendarsi di corpi celesti animati dall’energia delle stelle. Io sto a guardare, come un codardo spaziale. Ma è così bello esserlo da volerlo essere per sempre…

 

Domenica 6 ottobre 2018
Nella speranza di un sogno che s’avvera, godo nell’infrangersi di tal sogno. Quasi come se fosse nella speranza che comunque tal sogno possa avverarsi in altra forma che io in qualche modo sorrido. E per di più è nella trasformazione in positivo di tal sogno infranto, di tal delusione, che io ritrovo il benessere.
E’ masochistico se mi soffermo sul sogno infranto. E’ il contrario se mi soffermo sul sorriso che ne deriva. Ma forse il masochismo è proprio questo: sorridere del dolore. E allora si che il masochismo sarebbe cosa buona.
E se poi guardo al fatto che quando un sogno si avvera io non ne riesca a godere a pieno o anche solo a godere, beh… questa è tutta un’altra storia… e la si dovrà raccontare un’altra volta.
Lunedì 18 marzo 2019
Io sono un nulla senza di Te.
Come posso trasmettere Benessere senza il Benessere?
E’ come Gesù Cristo senza Dio. Come può aver trasmesso la verità senza la verità?
Io posso essere la mano che apre, che insegna. Ma senza di te, la mia chiave, come posso aprire quello scrigno di Benessere incontaminato?
Io insegno e trasmetto il Benessere. Tu sei il Benessere.
Io ricerco il Benessere. Tu lo sei.
Io sono un nulla senza di Te.
Che debba essere Benessere senza ricercarlo?
Lunedì 18 marzo 2019
Sono dentro la sconfitta.
Sto perdendo tanto. Perdendo. In tutti i sensi: sulla carta e nel non riuscire a superare i miei limiti e nel non riuscire a non commettere gli stessi errori.
E’ realtà.
Sto elaborando il concetto di sconfitta, un concetto ampio e quasi tabù nella società di oggi.
La sconfitta.
Per me la sconfitta è struggimento dell’anima per non essere riuscito a superarmi. E’ come avere dinanzi un muro e non riuscire ad abbatterlo.
Bello è pensare alla sconfitta anche come a un qualcosa che fa parte di me: ho dei limiti che non so superare e questo va accettato. Interessante tal visione.
Naturale è pensare a ciò quando non riesco, quando non vinco.
Quando mi supero, quando vinco, penso alla bellezza di essermi superato, alla vittoria.
E’ tutto un pensare, forse. E se, forse, la vittoria definitiva stesse nell’abbandono della mente? Nel non pensare? Nel lasciare scorrere e così fluire?
E’ la fatica nella mente che spesso mi appesantisce prima di una sconfitta. E’ lì il peso. E’ l’assenza o la carenza di fluidezza, di divertimento, di leggerezza ad appesantirmi quella parte che se fosse libera, leggera, forse mi permetterebbe di superare me stesso e andare oltre.
Giovedì 28 marzo 2019
C’è questa cosa del benessere, del benessere ritrovato. Più rinnovato che ritrovato. Anzi, forse anche ritrovato.
E’ una sensazione diversa dalle precedenti di benessere. Sembra essere più matura.
E’ un qualcosa di anche condiviso. Attorno a me, ovunque vada, pare che diffonda questo benessere. Che sia attraverso il benessere o attraverso il malessere, pare che io diffonda il benessere.
Tutti gli amici e i conoscenti ne parlano, lo citano. Forse sono io a citarlo di continuo tanto che gli altri poi ne vengono influenzati fosse anche solo per la parola. Oppure è la mia predisposizione, il mio esempio, il mio essere a diffondere il benessere tra le genti.
Lontano dall’essere presuntuoso io sono. In benessere cerco di descrivere questa situazione tangibile o intangibile che è vivida attorno a me, ormai da qualche settimana.
E trattasi di benessere evoluto, evoluto rispetto al benessere dello stare bene di cui tanto parlavo in passato.
Questo benessere, condiviso quanto millantato e alimentato con un caro amico, è una predisposizione d’animo. E’ il cercare il benessere, è il cercare lo stare bene nel malessere e nel benessere, così come nelle situazioni neutre nonché apparentemente normali. E’ il vivere la tensione, il malessere, il conflitto, le difficoltà, con benessere, con un sorriso dell’animo e del corpo. E’ il non giudicare, mai. E’ l’essere aperti, sempre. In benessere. E’ il sorridere al più acerrimo nemico. E’ il prendersi spazio e tempo, sempre, anche quando non si ha spazio e tempo. Perché il benessere va oltre lo spazio e il tempo.
E’ il predisporsi in benessere dinanzi a tutto, a tutti. E’ il benessere. E’ il lasciare sensazioni di benessere dinanzi a qualcuno che si premura, che si preoccupa, che si agita, che si lamenta. E’ il mandare a fare in culo in benessere, pronti al dialogo e in apertura dinanzi a chi si è appena mandato a fare in culo. E’ il sentire le proprie viscere emozionali aperte e distese dinanzi a qualcuno che si è appena mandato a fanculo o che ti ha appena mandato a fanculo.
E’ il divertimento. E’ il benessere nel benessere. Ma è un qualcosa di più, che forse qui mai potrei definire, spiegare. Perché già non è più benessere il definire e spiegare: ha a che fare con l’energia, la fluidezza, il benessere.
E’ anche il vivere il benessere col benessere, anche se quest’ultima predisposizione è ciò su cui dovrei lavorare di più data la mia capacità di stare male appena sto bene.
Il benessere evoluto è il benessere evoluto. E’ una definizione anche se il definire è limitante e improprio.
Il benessere evoluto è quella sensazione di leggerezza che ovunque e oltremodo può ritrovarsi in ogni dove e in ogni tempo. Sempre di ricerca di benessere trattasi. Anzi, non è tanto il cercare il benessere. E’ essere il benessere.
Il cercare il benessere è già una fase di malessere. E’ quasi una ricerca razionale, sperimentale. Qui trattasi di andare oltre. Siamo già benessere, ancora prima di ritrovarcici, ancora prima di cercarlo, ancora prima di renderci conto di provare benessere.
Siamo il viatico del benessere per il nostro benessere. Ma per arrivare a ciò ci vuole una vita intera di ricerca, di sensazioni, di non giudizio delle sensazioni, delle emozioni e dei pensieri.
Il benessere, evoluto e non, è una cosa seria. Potenzialmente è come il ridere e scherzare di continuo ma in forma consapevole, matura, cosciente, determinata, seria.
Chi pratica il benessere evoluto dal fuori può anche essere frainteso, può anche essere mal visto, quasi come fosse uno stupido. Ma tal visione negativa può averla chi non pratica il benessere evoluto, chi è schiavo dell’immagine e della superficialità tanto millantata e alimentata dalla cultura di oggi.
Soltanto i praticanti del benessere evoluto sanno che non c’è forse nulla di più serio della pratica del benessere evoluto.
Siamo il viatico del benessere per il nostro benessere e il benessere è benessere ed è il benessere.
Lunedì 10 giugno 2019
Il concetto di inutilità
 
Da un pensiero di un noto giornalista televisivo che recitò similmente: “La Nations League è sorta per sostituire tante ed inutili amichevoli internazionali”, la mia mente si è tuffata nei pensieri che seguono.
Innanzitutto, tutto può esser utile. Dunque l’inutilità forse non ha alcuna corrispondenza con la realtà.
Secondo, le amichevoli sono in realtà utili, perché in realtà sono sempre servite ad allenarsi, ad abituarsi al confronto anche in vista di partite definite ufficiali.
Terzo, ufficialità o non ufficialità tra le partite è naturalmente diverso, tuttavia sono pur sempre partite e possono essere vissute pienamente come tali.
Quarto, l’amichevolezza può esserci anche in una partita ufficiale.
Cinque, sono a favore della Nations League, così come sono a favore delle cosiddette amichevoli.
Sei, forse più importante di tutti i punti: io capisco che cosa in realtà intendesse il giornalista col concetto di inutilità delle amichevoli, ovvero che sono partite che non portano a titoli, forse non muovono il ranking, sicuramente non portano tanti soldi, non contano come quelle ufficiali (anche qui però il concetto di contare andrebbe rivisto, perché tutto conta). Tuttavia è il modo che non ci sta. Bisogna argomentare, bisogna esprimersi in modalità meno ignorante e più profonda. Bisogna approfondire il pensiero, renderlo più nobile, aperto, altrimenti, anche se un pensiero è mosso da buoni intenti, rischia di essere frainteso dai più, soprattutto se a dirlo è una persona con un grande palcoscenico dinanzi. La persona media non riflette. Dunque se gli si dice “questo è inutile”, ci crede.
Lunedì 15 luglio 2019
DISCORSO ULTIMO AL GENERE UMANO
_ il terrestre inalienato
SEMPRE AFFACENDATI SIAMO
A CREAR SOTTERFUGI E COMODITA’.
AL VIVER FACILE CI ABBANDONIAMO,
A UN VIVER VOTATO IN REALTA’ AL MALESSERE CI INOLTRIAMO.
QUESTO SEMPLIFICARE, QUESTO RENDERE RAPIDO E FUGACE,
QUESTA INESAURIBILE SUPERFICIALITA’
MOSSA DAL RICERCARE LA COMODITA’.
E IL MONDO S’AUTODISTRUGGE E NOI TUTTI, SALVO ECCEZIONI RARE,
SIAMO VOTATI AD UN’INELUTTABILE INCONSAPEVOLEZZA DENTRO,
AD UNA IMPOSSIBILE EVOLUZIONE.
MOVEMUS EL CULUS,
ABBIAMO CORAGGIO, OH TERRESTRI
Lunedì 2 settembre 2019

Ed era lì che stava. Osservando le automobili scorrere lungo la via, quella via che tanto mi ha dato e che tanto mi ha tolto.

Lui stava.

Dal di fuori pareva un pazzo. Aveva i capelli lunghissimi e grigi. E vagava per le strade del quartiere. Mai l’ho visto seduto. Stava sempre in piedi. Ora sorseggiando della coca cola, ora mangiando della pizza tenendo tra le mani il cartone da asporto.

Vagava.

In quel momento era per lui il momento di stare. Stava, in osservazione del fluire delle auto.

Stava di fianco a un semaforo, per qualche minuto. Per poi magari spostarsi di un isolato e rimanere ancora ad osservare.

Ogni tanto prendeva l’autobus e spariva dalla via.

E chissà a cosa pensava.

Quel giorno mi avvicinai e decisi di rivolgergli la parola. Come una sorta di sfida: ho paura di parlargli e allora mi faccio coraggio e lo faccio. E poi mi affascinavano tali personaggi del tutto fuori dal contesto sociale, fuori da ogni schema, pronti a lasciare tutto e forse anche a morire da lì a poco.

“Ciao”, gli dissi.

Mi guardò con fare attentissimo.

“Non mi conosci… E mi saluti? Porta rispetto…”

Io sorrisi, senza prendermela. Ebbi empatia subitanea dinanzi a tale incapacità di relazione.

Entrò al bar per poi uscire con una lattina di coca.

Cercai il suo sguardo.

Lui mi guardò per un attimo, per poi tirare diritto.

Ho da sempre avuto empatia per tali personaggi. Quasi fossi uno di loro, per lo meno nella sostanza: soli, incompresi, fuori dagli schemi, ribelli a prescindere.

 

Senza luogo né tempo

Eravate spenti. Poi vi siete riaccesi splendendo di luce rosata e riaccendendo di energia nuova la visione dinanzi a me.

Ora vi state rispegnendo, come vostro solito e spontaneo fare.

Sarete spenti di nuovo tra un po’ ed io avverto questo attimo che viene, che resta, che va. E’ così bello. E’ così triste.

 

Senza luogo né tempo

La frescura del vento entrava dalla finestra semi aperta ed io, scrivente e semi steso sul letto, la sentivo, l’ascoltavo questa frescura. Una frescura lenitiva per il caldo atroce di tal giorni.

Il rumore delle auto era perenne in quella sera di fine maggio. Pochi minuti e sarebbe stato giugno. Poche settimane e la luce avrebbe cominciato a diminuire, proprio nel momento in cui sarebbe stata più intensa.

E allora, di cotanto trascorrere del tempo, mi improvvisai, mi lasciai andare verso un abbraccio più totale delle emozioni, verso l’essere schiavo delle emozioni. Come quasi a dire: mi rimangono solo quelle. Sono quelle che mi tengono vivo. Sono quelle il mio motivo di vita. Ma so anche che è una presa di posizione che potrebbe, anche, significare: cerco nelle emozioni un appiglio, una sopravvivenza.

E allora non mi sentii particolarmente creativo quella sera, al punto che quasi decisi di smettere di scrivere. Ma una forza mi trattenne… E continuai… ma solo per qualche lettera, fino a che… smisi.

 

 

Mercoledì 11 dicembre 2019

Non c’è nulla in tutta quella emissione di parole, di voci. Nessun genere di profondità, nessun valore che abbia valore. Non c’è nulla.

E domani, le mille parole di lui… come contrastarle se non facendogli capire che il silenzio ha ben più valore di mille parole? A volte anche di 100. A volte anche di 10 parole. A volte anche di una.

 

 

Senza luogo né tempo

Non è come voglio.

Ritorno da una colazione fuori in un baretto qui vicino… Ma non è come voglio, non ho dentro la serenità per scrivere. E neanche la rabbia. Sono nel mezzo.

Tutto scorre, fluido.

Non è ancora come voglio, ma siamo più vicini all’obiettivo.

 

Senza luogo né tempo

Ode alla pioggia. Anzi, odo la pioggia
Non c’è niente come la pioggia.
La pioggia piove. Null’altro piove. Se mai, spiove. Ma spiovere è un atto passivo.
La pioggia piove. E solo lei sa farlo.
La pioggia è femmina, perché soltanto un calore femminile sa lenire la mia anima come sa farlo la pioggia.
La pioggia lenisce, la pioggia ammorbidisce, la pioggia ripulisce quasi come il vento, ma la pioggia lo fa a modo suo: bagna, rende fluido, rinfresca, porta via. Porta altrove, dove anche pioverà forse più che qua.
E vogliamo parlare dell’odore che la pioggia regala all’asfalto? Lo metto tra i miei tre odori preferiti. Gli altri sono l’odore dell’erba bagnata dalla pioggia e l’odore della pioggia in quanto se medesima. Un odore che non c’è, tanto la pioggia è pura, vivida ed indiscreta. Solo l’umana gente la pensa indiscreta e commette quel peccato, eterno peccato, di definire brutto tempo un tempo di pioggia. Tali uomini meriterebbero di essere ripuliti nell’anima da fiumi di acqua piovana sgorgante.
La pioggia. La pioggia e il suo rumore. Il rumore sulla grondaia, sui vetri, sulla terra secca e sulla terra bagnata dalla pioggia.
La pioggia lenta e fine è la pioggia che preferisco. Tuttavia adoro la pioggia dirompente che fa terrore, che fa sentire, più che capire, che non siamo nulla dinanzi la pioggia.
Rispettiamo la pioggia. Bagniamoci di pioggia. Danziamo e giochiamo a tennis sotto la pioggia! Confondiamo le nostre lacrime con la pioggia. Lecchiamoci i bordi della bocca e sentiamo quali sono lagrime e quali sono lacrime di pioggia.
Danziamo la danza della pioggia. Danziamo così che la pioggia possa non avere mai fine. E se proprio, proprio proprio, poi la nostra danza non andrà a buon fine, continuiamo a sognare la pioggia, continuiamo a sentirla scendere con vivida inerzia.
Ecco, la pioggia è l’immagine più soave, più vera, è la metafora tangibile della sana leggerezza, dell’evoluta spontaneità.
La pioggia si muove come fuochi fatui sbattuti dal vento e capaci di farsi sbattere di qua e di là senza però farsi abbattere.
Senza luogo né tempo
Piove… Lo sento… Non ho bisogno di andare a vedere. Mi basta stare qui e ascoltarmi dentro per sapere che là fuori piove.